Il Tribunale di Reggio Emilia ha disposto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, relativamente alla possibilità che il tribunale possa dichiarare d'ufficio il fallimento dell'imprenditore, se non vi è domanda in tal senso da parte dei creditori, del pubblico ministero o dello stesso debitore, e a seguito della pronuncia di risoluzione del concordato preventivo ad iniziativa di uno o più creditori.
Risoluzione del concordato preventivo
Nell'ipotesi sul quale il giudice compiva il proprio esame, infatti, in conseguenza del mancato fallimento, una volta rimosso il concordato preventivo la gestione dell'insolvenza della società sarebbe stata attribuita all'interno della fase liquidatoria che però sarebbe stata giudicabile come incoerente, considerati gli atti dispositivi rimessi all'impresa tornata in bonis, e la possibile aggressione del patrimonio da parte dei creditori. Dunque, secondo il tribunale, in una condizione del genere, la tutela degli interessi dei creditori concorsuali e dei lavoratori dipendenti dell'impresa affittuaria, sarebbe stata compromessa in modo irrimediabile.
In virtù di quanto sopra, la questione di legittimità costituzionale di cui si è fatto breve cenno, per il giudice è "non manifestamente infondata", poichè nonostante l'art. 186 l.f. richiami l'art. 137 l.f., e quest'ultimo stabilisca che "la sentenza che risolve il concordato riapre la procedura di fallimento" - e dunque non vieta espressamente l'intervento da parte del tribunale, la giurisprudenza della Corte di Cassazione si può ben ritenere consolidata nel senso che una pronuncia di fallimento di ufficio viene comunque esclusa dalla legge fallimentare attuale.
Corte Costituzionale in merito alla risoluzione d'ufficio del concordato preventivo
Non sono peraltro da sottovalutare gli effetti della conversione o della mancata conversione del concordato preventivo in fallimento, che dal canto suo è produttivo di ripercussioni dirette su alcuni diritti costituzionalmente protetti, e in grado di supportare ulteriormente la necessità di condurre la questione sulle scrivanie della Corte Costituzionale.
Si pensi, ad esempio, all'art. 35 della Costituzione, e alle sue relazioni con il diritto dei lavoratori alla tutela del lavoro, o ancora all'art. 38 e alle sue previsioni del diritto dei lavoratori all'assicurazione di tutti i mezzi adeguati alle proprie esigenze in caso di disoccupazione, o ulteriormente all'art. 41 e al diritto all'iniziativa economica privata che può spettare ai creditori concorrenti.
Proprio in virtù della tutela dei diritti costituzionali di cui si è fatto sintetico richiamo, osserva poi in conclusione il giudice del tribunale, è necessaria la richiesta della valutazione sull'opportunità o sulla necessità della conversione della procedura concorsuale, o della sua definitiva cessazione, non possa essere rimessa solamente alla decisione dei soggetti privati, quanto anche, laddove manchi l’iniziativa degli stessi privati o del pubblico ministero, e qualora siano presenti delle necessità di tutela dei diritti dei creditori o dei terzi (ad esempio, i lavoratori subordinati), sia demandata all’'autorità giudiziaria.
Sempre secondo il giudice, la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 186 l.f. non sarebbe in contrasto con il disposto dell’art. 111 Cost., secondo comma, che prevede come ogni processo si svolta dinanzi a un giudice terzo e imparziale, considerato che solo l’impulso iniziale al procedere proviene da un soggetto diverso da quello che è poi chiamato a giudicare.