Stando a quanto sancito dalla sentenza della Corte di Cassazione, n. 5685 del 20 marzo 2015, l'artigiano può essere sottoposto alle procedure concorsuali, poichè potenzialmente assimilabile a un "normale" imprenditore commerciale. Un'affermazione che riprende, in buona parte, un orientamento già sviluppatosi negli ultimi 15 anni da parte dei giudici della Corte, e che viene ora riproposto in maniera particolarmente univoca.
Quando un artigiano è soggetto fallibile
La pronuncia della Suprema Corte ricorda infatti come l'artigiano possa essere considerato soggetto fallibile, quale imprenditore commerciale, se ha organizzato la sua attività in maniera tale da poter costituire una base di intermediazione speculativa, facendo assumere al suo guadagno i connotati dal profitto, e avendo in questo modo organizzato una vera e propria struttura economica a carattere industriale, con autonoma capacità produttiva (e, pertanto, con la sua opera non più essenziale o principale). In tale ambito, al fine di poter accertare la ricorrenza della qualità di piccolo imprenditore, occorre pur sempre valutare alcuni criteri, tra cui l'attività svolta, il capitale impiegato, l'entità dell'impresa, il numero dei lavoratori, l'entità e la qualità della produzione, i finanziamenti ottenuti, e così via.
Le osservazioni dei giudici
Per giungere a tale valutazione, i giudici della Suprema Corte ricordano come la stessa Corte abbia già chiarito che "il Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, articolo 1, comma 2, nel testo modificato dal Decreto Legislativo 12 settembre 2007, n. 169, che stabilisce, ai fini della dichiarazione di fallimento, la necessita' del superamento di alcuni parametri dimensionali, esclude la possibilita' di ricorrere al criterio sancito nella norma sostanziale contenuta nell'articolo 2083 cod. civ., che ormai ai fini della fallibilita' non spiega alcuna rilevanza". I giudici hanno poi precisato come il regime concorsuale abbia tratteggiato la figura dell'imprenditore fallibile, affidandola in via esclusiva a parametri soggettivi di tipo quantitativo, che prescindono del tutto da quello della prevalenza del lavoro personale rispetto all'organizzazione aziendale che è fondata sul capitale e sul lavoro altrui (come da regime civilistico)". Pertanto, il collegamento effettuato nel decreto tra la condizione di piccolo imprenditore ed i criterio di cui all'articolo 1 L.F. appare del tutto improprio non sussistendo piu' alcun rapporto tra la condizione di piccolo imprenditore e la condizione di fallibilita'. Da cio', a maggior ragione, si deve escludere ogni rapporto tra le disposizioni dell'articolo 1 L.F. in tema di requisiti di fallibilita' con la tutt'affatto diversa questione della sussistenza della natura di impresa artigiana, desumibile, in base alla normativa ratione temporis applicabile di cui si e' dianzi detto, in ragione dei criteri stabiliti per l'individuazione del piccolo imprenditore. In conclusione, segnalano i giudici ricordando anche le conclusioni già formulate con le precedenti sentenze della stessa Corte n. 16157/2000 e 12487/2005, l'artigiano "va considerato un normale imprenditore commerciale, come tale sottoposto alle procedure concorsuali, allorche' abbia organizzato la sua attivita' in guisa da costituire una base di intermediazione speculativa e da far assumere al suo guadagno i connotati del profitto, avendo in tal modo organizzato una vera e propria struttura economica a carattere industriale con un'autonoma capacita' produttiva, sicche' l'opera di esso titolare non sia piu' ne' essenziale ne' principale".