Crisi Aziendali

Una Valleverde di lacrime e... licenziamenti


Una Valleverde di lacrime e... licenziamenti

La storica azienda di calzature abbandona per sempre la provincia di Rimini dopo aver delocalizzato all'estero tutta la produzione. Nel 2007 era leader mondiale e investiva 7 milioni di euro in super testimonial come Kevin Kostner, Pelé e Julia Roberts

Valleverde, storica azienda produttrice di ‘scarpe comode’ nata a Coriano nel 1970, “abbandona definitivamente la provincia di Rimini”. A denunciarlo sono i sindacati, Cgil e Cisl, che a conclusione di una lunga vertenza confermano come “ormai la produzione sia tutta stata delocalizzata nei paesi dell’Est Europa e nell’Estremo Oriente”. Sembrano trascorsi secoli da quando Valleverde investiva l’8% del fatturato, circa 7 milioni di euro, in pubblicità ingaggiando super testimonial come Pelé, Kevin Kostner e Julia Roberts, invece sono trascorsi appena 10 anni. Dal 2009, quell’azienda che proprio in Romagna è nata e cresciuta diventando in 40 anni leader mondiale nel settore della calzatura comoda a elevata qualità - con 270 dipendenti e 1.700 punti vendita nel mondo con una produzione di circa due milioni di scarpe - ha dovuto fare i conti con la contrazione dei consumi. Ma secondo i sindacati c’era modo e modo di affrontare la burrasca. E Valleverde avrebbe scelto la strada più comoda e semplice, “con la crisi divenuta motivo, o meglio pretesto, per presentare un piano di rilancio basato sul ridimensionamento del personale dipendente e per avviare una politica di delocalizzazione”. Certo è che dal 2009 sono accadute tante cose, perdite consistenti di posti di lavoro, cessione d’azienda, fallimento societario, processo penale nei confronti del patron Armando Arcangeli, gestione da parte del Tribunale di Rimini, sino all’acquisto fuori asta avvenuto nel maggio del 2015 da parte dell’azienda Silver 1 Srl costituitasi il 6 maggio 2015. "In questi anni ognuno, a suo modo - tuonano e accusano i sindacati - ha colto dal marchio Valleverde tutto ciò che poteva, a discapito dei posti di lavoro, che abbiamo difeso strenuamente, a discapito del territorio e anche dei piccoli artigiani indiretti. Filctem CGIL e la Femca CISL si sono ritrovate per oltre tre mesi a trattare al tavolo istituzionale aperto in Regione il ritiro della procedura di chiusura dello stabilimento di Coriano da parte della Silver 1, dopo solo due anni e mezzo dall’acquisto. Certamente lo stabilimento produttivo non ha più la grandezza di un tempo e non ci sono più gli oltre 200 dipendenti ma 33 tra operai e impiegati, eppure per noi che l’abbiamo vista nascere negli anni 70 - affermano i sindacalisti - è difficile dover ammettere che quel progetto di delocalizzazione produttivo all’estero iniziato nel 2009, oggi potrà definitivamente essere attuato, trasformando la scarpa Valleverde in un prodotto che non potrà più essere definito ‘made in Italy’”. Nella lettera di apertura dei licenziamenti collettivi da parte di Silver 1 si legge: “... l’attività aziendale è articolata per il 92% in attività commerciale e per il restante 8% in attività produttiva. L’attività commerciale consiste nell’acquisto della calzatura da uomo e da donna, prodotte soprattutto in paesi dell’Est Europa e in Estremo Oriente e nella vendita al dettaglio di questi prodotti assieme agli articoli della produzione di Coriano”. Per i sindacati, dunque, “è evidente che il marchio fa gola più dei posti di lavoro e più del rilancio della produzione nello stabilimento romagnolo”. La vertenza sindacale è terminata il 15 febbraio scorso con un accordo che prevede il mantenimento presso lo stabilimento di Coriano di 8 dipendenti e, per i restanti, un risarcimento economico tre volte superiore a quello che avrebbe previsto il Job's Act in giudizio, un investimento economico da parte dell’impresa sulla politica attiva di ricollocamento di ciascun dipendente fuoriuscito e il diritto di precedenza per i prossimi 24 mesi qualora la società dovesse effettuare delle assunzioni. Da ultimo, la dura chiosa delle sigle sindacali: “La Valleverde, come l'Embraco, come tante altre aziende che hanno puntato tutta la loro competitività sui costi di produzione delocalizzando e sfruttando la manodopera a basso costo, dovrebbero interrogare la nostra classe dirigente su quanto siano inutili gli incentivi a pioggia nei confronti delle imprese, mentre il vero investimento dovrebbe essere rivolto al lavoro stabile e di qualità".


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