Nell'ultimo periodo, il problema del fallimento delle imprese in Italia sta crescendo a dismisura e molti sono i casi che rimangono in ballo per qualche anno. Le cause di tutto ciò sono di varia origine e natura. Tornando indietro di qualche anno, ricordiamo la società Campana Sas, storica azienda trevigiana sita nel centro della città, che a causa di un accumulo continuo di debiti ha visto, nel 2012, la sua fine, dichiarando bancarotta. I suoi tre soci sono tuttavia ancora sotto processo, accusati di distrazione. Con l'udienza dell'8 luglio di quest'anno il processo è finalmente andato avanti, anche se tutt'ora non si è ancora giunti a una conclusione, in quanto continuano a mancare delucidazioni importanti sul caso.
Il processo
Le prime difficoltà legate alla società Campana Sas risalgono al 2008. I conti non quadravano e i creditori iniziarono a farsi sentire, tuttavia i soci non intervenirono mai realmente per risolvere la situazione. Questo portò dunque la società in tribunale nel 2012, anno in cui fu dichiarato il fallimento. Secondo la procura, il fallimento della Campana Sas poteva benissimo essere evitato già nel 2008, ma il comportamento dei soci non ha invece fatto altro che peggiorare la situazione, fino a portare alla bancarotta. I magistrati però sostengono che sia molto probabile l'ipotesi secondo cui questa bancarotta sia stata provocata per distrazione e il cattivo mantenimento delle scritture contabili rende molto difficile la ricostruzione dello stato patrimoniale.
Per questo motivo i tre soci, il padre Giovanni Ferrarese, 83 anni, e i suoi due figli, Tommaso di 52 anni e Franceso di 50 anni, tutti residenti a Treviso, sono tutt'ora sotto processo, in attesa di far chiarezza. I libri societari hanno dimostrato un passivo accertato di un milione e seicentomila euro che, invece di essere saldato, è stato seguito da una serie di azioni che hanno portato la procura a generare l'accusa di distrazione. Si tratterebbe dunque di un illecito causato dai soci della Campana Sas che, invece di saldare i conti con i creditori, avrebbero, secondo questa teoria, sottratto, nascosto o distrutto beni o risorse finanziarie dai conti della società, con lo scopo di arricchire se stessi a scapito dei creditori.
L'accusa
I due fratelli Tommaso e Francesco Ferarrese della Campana Sas sono stati accusati di avere effettuato, tra il 2009 e il 2010, prelievi bancomat dai conti della società per motivi puramente personali. Le somme prelevate ammonterebbero a ben 253 mila euro, somma che non è mai stata recuperata e che non si sa che fine abbia fatto. Una parte dell'azienda sarebbe inoltre stata affittata alla Gft, una società anch'essa fallita poco dopo e facente capo sempre allo stesso Tommaso Ferraraese. I rapporti con questa seconda società includerebbero un giro di denaro con una serie di compesazioni di debiti e crediti vari utilizzando i materiali del magazzino, per una cifra pari a oltre un milione di euro.
Il processo per fallimento della Campana sas dunque procede a rilento, nel tentativo di far luce su quanto accaduto. I tre soci e il loro avvocato continuano a dichiararsi innocenti, portando come prova i libri contabili, che però paiono troppo nebulosi in molti punti e poco chiari riguardo alla fine fatta da gran parte del denaro sparito. Non si trova dunque un punto di incontro, in quanto servono registri più chiari e prove più concrete se si vuole dimostrare l'innocenza dei soci davanti alle accuse ricevute. Il padre Giovanni Farrarese è inoltre accusato di aver ricevuto somme di denaro derivanti da cause vinte contro istituti di credito per anatocismo dichiarando un valore diverso da quello veritiero.
La difesa
I tre soci Ferrarese sono difesi al tribunale di Treviso dall'avvocato Jacopo Stefanini, che si dichiara sicuro di riuscire a dimostrare l'innocenza dei suoi assistiti. In particolare, a difesa delle accuse mosse riguardo al coinvolgimento dell'azienda Gft, l'avvocato difensore ha spiegato in aula che l'accordo con la Gft era volto semplicemente a permettere di avere abbastanza liquidità così da riuscire a pagare i dipendenti, in modo che non venissero coinvolti nei problemi legati al fallimento. Dichiara, inoltre, che la società Campana era impegnata in una sorta di lifting volto a effettuare una pulizia dei debiti, in modo da ottenere delle nuove linee di credito che le avrebbero permesso di rimettersi in piedi.
La difesa vorrebbe inoltre risolvere un altro contenzioso legale che coivolgerebbe la società Campana Sas e cioè il permesso a tenere aperte le attività commerciali all'interno del proprio immobile. La licenza commerciale sarebbe infatti considerata dal tribunale di Treviso come un bene appartenente alla società fallita nel 2012 e che quindi non avrebbe più diritto di essere in circolazione. Di fatto, quindi, è stata revocata l'autorizzazione a tenere aperto il negozio all'interno dell'immobile, con tutto ciò che comporta di conseguenza. A rimetterci, infatti, sono anche i lavoratori dell'attività, che a causa della revoca della licenza si sono ritrovati senza la possibilità di aprire il negozio e di lavorare, trovando ingiusto che la revoca della licenza sia arrivata in maniera così tardiva rispetto al fallimento.
I risvolti
Purtroppo, a seguito dell'ultima udienza tenutasi il 9 luglio 2021, il tribunale di Treviso ha nuovamente rinviato la conclusione del processo, in quanto tutt'ora risulta impossibile dimostrare l'innocenza o la colpevolezza dei tre imputati, che però continuano a sostenere la propria innocenza. A causa dell'impossibilità di una chiara ricostruzione del fatti, i magistrati hanno deciso di concedere ulteriore tempo agli imputati, di modo che possano raccogliere le prove necessarie da presentare all'udienza successiva. In caso contrario, però, è altamente improbabile che i tre soci vengano dichiarati innocenti e potrebbero quindi ricevere la pena riservata al reato di bancarotta per distrazione, che può arrivare anche alla reclusione per un periodo compreso dai tre ai dieci anni.
I soci Campana Sas sono quindi da condannare?
Non sta a noi stabilire se i tre soci della società Campana Sas siano effettivamente da condannare oppure abbiano agito fino a questo momento in buona fede. Tuttavia ciò che sappiamo è che la bancarotta per distrazione è purtroppo una pratica illecita molto in voga tra certi imprenditori "furbetti" e quindi la procura fa bene a indagare fino in fondo, in modo da fare chiarezza sul caso e punire gli imputati se si dovessero rivelare colpevoli. Dei libri societari tenuti in modo confusionario tanto da non permettere una chiara ricostruzione dello storico del patrimonio della società sicuramente non aiutano e tendono anzi a far pendere i sospetti verso un eventuale comportamento truffaldino da parte dei soci.