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Fallimento Bellabarba e Amu


Il commissario giudiziale Stefano Fantoni è stato accusato di aver nascosto un presunto debito di 100 mila euro della Bellabarba srl e soprattutto ha deciso di accusare la buona fede e professionalità andando a sostenere «di essere legato al gruppo di imprenditori» e dunque di essere in un pieno conflitto di interessi.
Sono tali le motivazioni – che sono state respinte dal Tribunale fallimentare - attraverso le quali alcuni frontisti avevano chiesto, tramite i loro avvocati, di procedere alla revoca del concordato della società proprietaria della discarica sul monte La Poggia con cui sono in guerra da anni. Da tale retroscena è giunta  la richiesta di fallimento.  I giudici, però, nel decreto con il quale accolgono la richiesta di concordato per la srl sembrano voler meglio analizzare la richiesta di fallimento.

Cosa hanno scritto i giudici

«Nella fase successiva all'ammissione del concordato - dicono - avevano chiesto la revoca una serie di soggetti proprietari di immobili che fronteggiano la via del Limoncino sulla quale transitano i mezzi pesanti della debitrice.Essi esponevano che, a seguito della sentenza del Tribunale che riguardava la percorribilità dell strada, erano divenuti creditori della Bellabarba di una prestazione di facere (il ripristino della strada nelle condizioni antecedenti al passaggio dei mezzi), di notevole rilevanza patrimoniale, da valutarsi come minimo per lo meno in 100 mila euro».
Ecco perché «chiedevano la revoca del concordato in quanto il commissario avrebbe dolosamente taciuto l'esistenza del debito, anche in considerazione che il commissario giudiziale sarebbe “legato al gruppo Bellabarba unitamente ai suoi colleghi di studio”».
Il tribunale alle accuse risponde in questo senso: « Non sussistono i presupposti per la revoca del concordato, avendo il commissario abbondantemente trattato, nella sua relazione del debito nei confronti dei frontisti. Sono state, conseguentemente, inserite al passivo le somme di 367,45 euro dovute al consulente della causa oltre a mille euro quali somme necessarie per il ripristino della strada nella situazione precedente».
Andando a dichiare «infondate le contestazioni» i giudici fanno notare ai frontisti che non hanno neanche proposto opposizione all'omologa, pur avendone diritto.

Cosa si dice del fallimento Amu

In aula il fallimento della Amu, Azienda macchine utensili srl con sede in corso Vercelli a Ivrea che nel 2009 chiuse i battenti lasciando a casa 24 operai. Ieri c’è stata la seconda udienza dibattimentale che ha visto apparire tra gli imputati Riccardo Forneris, 76 anni, di Candia, e Bruno Mino, 72 anni di Borgofranco, entrambi aventi la qualità di amministratori della Amu, difesi dall’avvocato Claudio D’Alessandro.
Assieme a loro Maurizio Forneris (figlio di Riccardo), 50 anni, di Ivrea, Paolo Fessia, 45 anni, di Ivrea, e Alessandro Nuzzo, 34 anni, anche lui di Ivrea, difesi dall’avvocato Federico Zinetti, in qualità di ex operai della Amu e amministratori della Amp srl.
Tutti dovranno spiegare il perché della bancarotta fraudolenta. La curatela si è costituita parte civile con l’avvocato Vincenzo Nizza e chiede un risarcimento di un milione e 500mila euro.
È un processo molto delicato e basato in gran parte su perizie tecniche e schermaglie legali, tanto che le prime due udienze, assieme a quella di ieri, non hanno visto l’audizione di testi ma sono state dominate dal dibattito tra accusa e difesa in merito al capo di imputazione. Agli imputati, infatti, era stato opposto dall’accusa di aver cagionato con operazioni dolose il fallimento della Amu nell’estate del 2009.
L’azienda però stava già soffrendo dal febbraio di quell’anno, tanto che aveva lasciato i 24 dipendenti privi di stipendio, e nell’anno precedente anno aveva chiesto per i lavoratori la cassa integrazione.
La Procura aveva aggiunto, però, che in quel travagliato periodo gli amministratori di Amu da un lato non avrebbero dichiarato il fallimento, quando era ora, ma avrebbero venduto macchinari dell’azienda ad altre società quali la Amp srl, ditta appositamente creata da Forneris figlio, Nuzzo e Fessia per rilevare le commesse e le lavorazioni di Amu. Ma, secondo quanto dice l’accusa, senza farsi carico dei debiti della società.
Stando alla difesa di Forneris e Mino, però, i due non avrebbero potuto fare entrambe le cose e, quindi, avrebbero chiesto che il capo di imputazione fosse di nuovo modificato con parere contrario di pubblico ministero e parte civile.
Ciò, assieme all’assenza per gravi problemi di salute di Mino, ha portato i giudici al rinvio del processo al 2 febbraio del 2016. In quella sede il collegio giudicante, presieduto da Garbellotto, avrà deciso sulla questione sollevata dalla difesa e ascolterà i primi testimoni indicati dalla Procura.


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