Come ricordato dall’ordinanza n. 21286 del 7 luglio 2015 ad opera della Corte di Cassazione, la società che cessa le proprie attività ed è cancellata dal Registro delle Imprese, non può più annoverare il diritto di accedere al concordato preventivo, e anche nell'’ipotesi in cui venga presentata un’'istanza di fallimento entro un anno dalla cancellazione, come previsto dalla legge fallimentare. È d’altronde ben noto che una volta che l’'impresa è venuta meno, cade anche lo scopo proprio del concordato stesso, che è invece quello di tentare una soluzione per la crisi di impresa. La vicenda sulla quale la Corte di Cassazione si è espressa con l’'ordinanza sopra individuata, si è aperta con il ricorso proposto dall’'ex liquidatore di una società a responsabilità limitata, contro la decisione della Corte d’'Appello, che ha respinto il reclamo avanzato contro la sentenza che ha dichiarato il fallimento della società, emessa dal Tribunale, previa la declaratoria di inammissibilità della proposta di concordato preventivo che era invece stata avanzata dopo la cessazione dell'’attività, supportando il proprio convincimento sulla potenziale illegittimità costituzionale dell’art. 2495 c.c., in combinazione con l’'art. 10 della legge fallimentare.
Art. 2495 del Codice Civile
L’'art. 2495 c.c. stabilisce infatti che, “approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese”. Al secondo comma aggiunge poi che “ferma restando l'estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l'ultima sede della società”.
Art. 10 della Legge Fallimentare
L’'art. 10 della Legge Fallimentare recita invece che “gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’'insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’'anno successivo”, aggiungendo che “in caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell’'effettiva cessazione dell'’attività da cui decorre il termine del primo comma”. Partendo da tali disposizioni, l’'ex liquidatore della società riteneva che la cancellazione della società dal Registro delle imprese, comportante l'’estinzione, aveva generato “una violazione del diritto di difesa del liquidatore, cui spetterebbe la legittimazione passiva ma non anche quella attiva, necessaria per il promuovimento di procedure alternative al fallimento, quale quella di concordato preventivo”. La questione di legittimità fu poi posta all’'attenzione della Corte di Cassazione con ricorso. Pronunciatasi con l’'ordinanza n. 21286 dello scorso 7 luglio, la Suprema Corte ha tuttavia ricordato la natura dell’'istituto del concordato preventivo, e come esso sia incompatibile con lo status di cessazione di una società, e della sua cancellazione dal Registro delle imprese, quale atto che determina altresì –tra gli altri il diritto di accedere al concordato preventivo stesso.