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Roma dice addio al Gay Village


Perdite per oltre 600mila euro, fallisce il locale-icona della comunità Lgbt nella Capitale

Sommersa dai debiti è prima finita in liquidazione poi ha alzato bandiera bianca dichiarando fallimento. La società al capolinea si chiama Extralive Srl ed ha contribuito negli anni al successo del Gay Village, il locale romano icona della cultura Lgbt nazionale. Ora il club, dopo il crac da 600mila euro in due anni in capo alla gestione, ha chiuso definitivamente i battenti. Il fallimento, si legge sui bilanci aziendali pubblicati dal quotidiano il Tempo, dovuto al timore di attentati dopo la strage al club Pulse di Orlando, in Florida, nel 2016 e ad alcune serate di maltempo che hanno causato un mancato guadagno di quasi 100mila euro. Secondo Affaritaliani al locale cult del mondo omosessuale sarebbero mancati anche i fondi di Regione e Comune di Roma. Così il Gay Village ha dovuto chiudere i cancelli, ma la movida arcobaleno è rimasta orfana solo per poco. A fiutare l’affare delle serate gay, apprezzate sempre più negli anni anche dal pubblico eterosessuale, è stato Shlomo, il proprietario del Qube di via di Portonaccio, dove per anni è andata in scena il Muccassassina, la serata pensata all’inizio degli anni ’90 per finanziare le attività del circolo omosessuale Mario Mieli. Così lo scorso 7 giugno, nel parco del Ninfeo dell’Eur, è stata inaugurata la prima stagione del “Village”. E già infuriano le polemiche all'interno della comunità Lgbt perché per la fondatrice del Gay Village, Imma Battaglia, "quel nome e quel logo, entrambi troppo simili a quelli dello 'storico Village'. E così la Battaglia ha accusato la proprietà del Qube di voler “fare denaro sulla fama degli altri”. Pronta e secca la replica: “Il Gay Village non esiste più semplicemente perché è fallito”. Il marchio originale potrebbe essere presto venduto all'asta.


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