Legge Fallimentare

Rivalsa IVA per avvocati creditori di procedure


Sulla base di quanto è stato recentemente affermato dai giudici della prima sezione civile della Corte di Cassazione, attraverso la sentenza n. 14052 dello scorso 7 luglio, l’avvocato che vanta un credito nei confronti di una procedura concorsuale, non può veder attribuito lo status di privilegiato alla rivalsa Iva. Cerchiamo dunque di comprendere come si sia giunti a tale pronuncia, partendo da una piccola introduzione terminologica per i non addetti.

Cosa è il diritto di rivalsa e cosa è la rivalsa Iva

Prima di addentrarci nella spiegazione delle valutazioni dei giudici della Suprema Corte, ricordiamo che per diritto di rivalsa si intende il diritto di un soggetto passivo a richiedere a un altro soggetto una somma di denaro. Nel diritto tributario, pertanto, è il diritto di una parte a domandare il pagamento a una seconda parte di un importo che è equivalente al tributo di cui risulta essere debitore. Calando la forma teorica nel diritto tributario in materia di IVA, ci si può riferire a quanto previsto all’interno della disciplina contenuta nell’art. 18 Dpr 633/72, secondo cui per diritto di rivalsa si intende il diritto per il soggetto passivo di imposta di addebitare l’IVA ai propri clienti, aggiungendola poi al corrispettivo è stato pattuito.

Cosa hanno affermato i giudici della Cassazione

Chiarito quanto precede, arriviamo alla valutazione dei giudici della Suprema Corte, che evidentemente non hanno condiviso quanto affermato dalla parte, che sosteneva che il credito di rivalsa dell’Iva del professionista (in questo caso, un avvocato), dovesse ritenersi prededucibile, poiché successivo al fallimento. In realtà, i giudici hanno ribadito che il credito di rivalsa IVA vantato da un professionista che esegue delle prestazioni in favore del soggetto imprenditore che viene poi dichiarato fallito ed ammesso per il relativo capitale allo stato passivo in via privilegiata, e che poi emette la fattura per il relativo compenso in costanza di fallimento, non può qualificare come credito di massa il suo rapporto, e dunque non può soddisfare in prededuzione tale credito, come da art. 111, primo comma, l.f. La valutazione si basa sull’analisi della disposizione dell’art. 6 del già ricordato DPR 26 ottobre 1972, n. 633, secondo cui “le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo, non pone una regola generale rilevante in ogni campo del diritto, ma individua solo il momento in cui l’operazione è assoggettabile ad imposta e può essere emessa fattura (in alternativa al momento di prestazione del servizio)”.

Alla luce di ciò, la prestazione professionale che si è conclusa antecedentemente alla dichiarazione di fallimento non può che rimanere la fattispecie di generazione anche del credito di rivalsa IVA, che permane autonomo rispetto al credito per la prestazione, ma ad esso soggettivamente e funzionalmente connesso. Pertanto, il credito di rivalsa IVA potrà trovare soddisfazione solamente nel privilegio speciale di cui all’art. 2758, secondo comma, c.c., poiché non è sorto verso la gestione fallimentare, come spesa o credito dell’amministrazione o dall’esercizio provvisorio, e – naturalmente – sempre nell’ipotesi in cui sia possibile verificare la presenza di beni sui quali risulta esser possibile l’esercizio della causa di prelazione, e che il creditore avrà l’onere di indicare in sede di domanda di ammissione al passivo.


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