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Revocato il Fallimento a Scalabrelli dopo nove anni


Ma almeno arriva, questo potremmo dire. Quanti sono i casi fatti di lunghe attese dove il prezzo da pagare è quello più alto? L'aver atteso invano per la denegata giustizia.
Nove anni, nove lunghi anni, ed è stata la Cassazione ad intervenire, successivamente al giudizio della Corte d'Appello che, comunque, gli aveva dato ragione: il fallimento non doveva essere dichiarato, è stato un grave errore, egli errori come questi sono pesi.

Servono davvero decisioni come queste, quando la società, ormai è morta? Sepolta da tempo, chiusa nel silenzio di tutti.

Un caso davvero unico in Italia. Quando mai abbiamo sentito parlare di revoca del fallimento? Pochissime volte. Il protagonista è stato un imprenditore di Grosseto: Aldo Scalabrelli.
La sua società Comitalia srl, era una ditta che a Borgo Carige di Capalbio vendeve e forniva dei prodotti per l’agricoltura e l’edilizia. Oggi Scalabrelli è un uomo di 65 anni che ha tirato a campare solo ed esclusivamente grazie alla pensione. Una vita rovinata.

La storia della ditta in cui lavoravano otto persone

C'era anche un socio, Massimo Nannini, sin dal 2000, anno in cui la società era attiva; quest'ultima consentiva a ben otto persone, tra cui i familiari, più ad altri dipendenti nel periodo estivo; aveva tre sedi, le quali raggiungevano ben 6 milioni di euro di fatturato.
Il problema è iniziato ad arrivare nel 2006: “Ci fu una crisi di liquidità - spiega Scalabrelli - e fu così che la mia società mise in atto un importante sforzo finanziario di ristrutturazione per riportare la ditta in acque tranquille; dopo aver effettuato pagamenti per tramite del mio gruppo commerciale (era il luglio 2006) per circa 900.000 euro, ci accingevamo ad operare un piano globale di ristrutturazione del debito. Ma a quel punto il Tribunale comunicò lo stato di insolvenza al pubblico ministero. E lì iniziò tutta la storia giudiziaria”.

L'avvocato Michele Mensi si è occupato dell'assistenza legale di Scalabrelli

Scalabrelli, poteva contare sull'assistenza legale di Michele Mensi, il quale era rimasto senza parole a causa della decisione che gli era parsa  tra l’altro in violazione della legge fallimentare appena giunta in vigore, ovvero quella che vietava la dichiarazione di fallimento di ufficio da parte del Tribunale. Scalabrelli decide di parlare chiaro e cita nomi e cognomi. “All’epoca a presiedere il Tribunale fallimentare era il giudice Daniela Gaetano, e a causa sua io e la mia famiglia abbiamo passato anni che non auguro a nessuno. Per me è inconcepibile che sia potuta accadere una cosa del genere e che tutto sia nato dalla decisione di un magistrato che dovrebbe invece garantire il rispetto della legge”.

Si verificò una vera e propria situazione paradossale. Infatti l'impresa risultava sia fallita che in salute.

“Lo sa qual è il paradosso? Una delle cose più assurde? È quella che in questa vicenda ci sono state contemporaneamente due società, una in bonis e una fallita: ma erano la stessa!”
Il pubblico ministero all'epoca dei fatti, era lo stesso del presente, ovvero il dottor Massimiliano Rossi. “Io e il mio avvocato sapevamo di essere nel giusto ma predisponemmo anche un piano di riserva perché qualcosa non ci tornava. Il giudice autorizzò i primi, e ingenti, primi pagamenti delle banche. Noi nel frattempo preparammo insieme al commercialista della società, Claudio Miserocchi, le basi di un concordato preventivo durante quella stessa estate 2006. Avevamo avuto ragione a sospettare, perché il giudice non solo segnalò l'insolvenza al pm per ottenere l'istanza di fallimento, ma presiedendo il collegio del Tribunale fallimentare, fece dichiarare inammissibile la domanda di concordato preventivo presentata secondo legge dalla nostra società, senza ricorrere come avrebbe dovuto alla votazione dell'adunanza dei creditori, unico organo deputato a verificare l'ammissibilità effettiva della proposta sul piano economico”.
Ebbene, una situazione del genere per forza di cose accende una luce, una lampadina sulla parola stranezza.
Infatti, riducendo la situazione a poche battute, il fallimento viene dichiarato senza possobilità di scelta. Scalabrelli, in questo modo venne privato da ogni forma di bene, restando a mani vuote. Il 27 febbraio del 2007, con una sentenza che lasciò tutti stupiti, la Corte di Appello di Firenze prende una decisione molto importante. Ovvero decide di revocare il fallimento con sentenza, la n. 367/2007. Il giudice, però, nel frattempo aveva dato autorizzazione al ricorso in Cassazione richiesto dalla curatela. La decisione ha dato ragione al povero e sventurato imprenditore. I supremi giudici confermano la sentenza dopo sette anni di lunga e interminabile attesa, dopo una serie di vite spezzate, arriva la giustizia. Troppo tardi?


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