Curatore Fallimentare

Responsabilità solidale del curatore


Non sempre il curatore è il diretto responsabile dei debiti fiscali del fallimento. È quanto ha chiarito la Cassazione con l’ordinanza n. 16373, depositata dalla sesta sezione civile.

Cosa era accaduto

Il Collegio di legittimità boccia il ricorso del fisco contro la decisione della Ctr Lazio. Il giudice a quo accoglieva l’istanza del curatore fallimentare di una srl che si vedeva recapitare dal fisco una cartella di pagamento che affermava la sua responsabilità solidale per l’omesso versamento delle imposte. Le Entrate presentano ricorso in Cassazione, ma senza successo: il ricorso appare, dunque, infondato.

Qualora l’Amministrazione, spiega Piazza Cavour, ritenga di affermare una responsabilità solidale del curatore fallimentare per i debiti tributari del fallimento deve indicare nell’atto di addebito le ragioni che determinano tale responsabilità che deve nascere da un cattivo utilizzo dell’attivo fallimentare (ad esempio dopo il pagamento di crediti di ordine inferiore a quelli tributari); ponendo il curatore in condizione di esercitare le sue difese anche adducendo, se il caso, l’intervento determinante degli organi di controllo della procedura. In questo caso, la cartella di pagamento non conteneva alcuna motivazione a riguardo.

Cosa affermava una recente pronuncia

Come detto in una recente pronuncia della Corte suprema (sentenza n. 21564/2013) «la visione secondo cui l’atto impositivo offra elementi perché il contribuente possa svolgere efficacemente le proprie difese, è riduttiva del vero ruolo della motivazione, che potrebbe legittimare un possibile, ma inammissibile, giudizio ex post della sufficienza della motivazione argomentata dalla difesa comunque svolta in concreto dal contribuente, piuttosto che un giudizio ex ante argomentato sulla rispondenza degli elementi enunciati nella motivazione a consentire ex se l’esercizio effettivo del diritto di difesa». Se vogliamo essere corretti, l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo ha lo scopo di porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa del fisco, in misura tale da consentirgli «sia di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l’an e il quantum debeatur».

Elementi questi che devono essere posti a conoscenza dell’interessato, non solo tempestivamente, «ma anche con quel grado di determinatezza e intelligibilità che permetta al medesimo un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa». Dunque, in tal caso, la Cassazione respinge il ricorso dell’Erario.


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