Mentire all’ufficiale giudiziario, sostenendo – all’esito del pignoramento mobiliare – di non essere titolare di ulteriori beni potenzialmente oggetto di pignoramento, potrebbe costare molto caro. Stando a quanto recentemente ribadito da una pronuncia giurisprudenziale, infatti, le false dichiarazioni dinanzi all’ufficiale giudiziario possono costare fino a 1 anno di reclusione, o una multa fino a 516 euro.
Il pignoramento mobiliare
Quando avviene un pignoramento mobiliare (cioè, su beni mobili), l’ufficiale giudiziario è tenuto a recarsi presso il domicilio del debitore alla ricerca di beni da poter pignorare. I beni verranno poi posti all’asta, con un professionista che si occuperà dell’assegnazione e della riscossione delle somme. Nell’ipotesi in cui l’ufficiale giudiziario non trovi oggetti da pignorare, o se i beni pignorabili sono di valore inferiore rispetto a quello per il quale il creditore agisce, l’ufficiale invita il debitore a comunicargli la presenza di ulteriori redditi o beni sui quali sarà possibile estendere il pignoramento.
A tale invito, il debitore deve rispondere, naturalmente, senza omissioni. In caso di dichiarazioni false, scatta invece la mancata esecuzione dolosa di un ordine dal giudice, che il codice penale punisce con la reclusione fino a 1 anno o la multa fino a 516 euro.
Le valutazioni dei giudici
Con la sentenza n. 27941/2016, i giudici della Corte di Cassazione si soffermano proprio sull’ipotesi di falsa dichiarazione all’ufficiale giudiziario. Secondo i giudici della Suprema Corte, l’eventuale ignoranza da parte del debitore sulla pignorabilità di un bene non è di per se una giustificazione. Per tale motivo, se il debitore omette di riferire all’ufficiale giudiziario la proprietà di redditi o di altri beni pignorabili, poiché sostiene che non sapeva potessero essere pignorati, non si salva dal reato.
Insomma, per ricordare le valutazioni dei giudici “l’ignoranza o l’errore circa la pignorabilità di un bene si risolve in ignoranza o in errore sulla legge penale. Nè è sostenibile che si versi in un’ipotesi di inevitabilità dell’ignoranza della legge penale, poiché la normativa in tema di pignorabilità della pensione non presenta certamente connotati di cripticità tali da potersi ricondurre all’ottica dell’oscurità del precetto”. E, aggiunge ancora la Corte, “non è nemmeno riscontrabile, in materia, una situazione di caos interpretativo o di assoluta estraneità del contenuto precettivo delle norme alla sensibilità del cittadino”.
In conclusione, la legge non ammette ignoranza. E soprattutto quando si tratta di codice penale, al cui interno possono essere ricondotte le norme che puntano a disciplinare il reato di omesse o false dichiarazioni all’ufficiale giudiziario.
Con simili giudizi, la Cassazione ha dunque respinto il ricorso della parte soccombente in Appello, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Il ricorrente, ricordiamo per dovere di cronaca informativo, era stato chiamato in causa da una ex dipendente, la quale vantava, nei suoi confronti, un credito da lavoro definito di “rilevante importo”, il cui soddisfacimento è stato ritardato o impedito proprio a causa del comportamento omissivo del datore di lavoro.