Crisi Aziendali

Coronavirus, parchi divertimento a rischio default


Non solo stabilimenti balneari, agriturismi e hotel. Anche un altro settore, oltre a quello ricettivo-turistico più 'tradizionale', rischia di finire travolto in pieno dall'emergenza Coronavirus. Stiamo parlando del comparto dei parchi di divertimento italiani che annovera tra i tanti anche 'big' come Gardaland, Mirabilandia, Leolandia più altre strutture di rilievo prettamente acquatiche come Aquafan, Oltremare e decine di impianti faunistici, magari più piccoli e meno noti ma che, come i colossi già citati, potrebbero rimandare l'apertura alla primavera-estate 2021. Questo, in concreto, significherebbe perdere un anno di lavoro e di entrate con pesanti ricadute negative sui bilanci e il fallimento dietro l'angolo. Nel solo periodo delle vacanze di Pasqua, con gli italiani costretti a restare chiusi in casa per misure di contenimento del contagio, riporta Askanews, se ne è andato in fumo oltre un terzo del fatturato. Mica brustoline se si considera che l'intero settore nel 2019 aveva fatto registrare ricavi diretti pari a circa 420 milioni e un indotto complessivo di circa 1,5 miliardi di euro. Ora, però, con un rischio default più che concreto, gli operatori potrebbero essere costretti a licenziamenti di massa al fine di abbattere i costi e sopravvivere alla tempesta Covid-19. Una prospettiva drammatica per un comparto che impiega circa 25 mila persone, tra i circa 10 mila dipendenti fissi e gli altri 15 mila stagionali, lavoratori che però - lancia l'allarme Giuseppe Ira, patron di Leolandia, parco di Capriate (Bergamo) - "non possono essere messi in cassa integrazione”. Ira, che è il presidente dell’Associazione Parchi Permanenti Italiani (Ppi), l'organo di rappresentanza degli oltre 230 parchi divertimento a carattere tematico, acquatico e faunistico sparsi lungo tutto lo Stivale, teme il peggio: "Il problema - spiega - è che siamo stati i primi a chiudere e saremo gli ultimi ad aprire perché i parchi sono il tipico luogo di aggregazione". E al momento, ma anche per i prossimi mesi, non solo l'aggregazione è vietata per ovvi motivi, ma fa persino paura. Ira ne è ben consapevole: "Per il momento ci siamo messi il cuore in pace, nella migliore delle ipotesi non riapriremo prima del 13 giugno - afferma all'Agenzia - sappiamo di essere il comparto più colpito da questa emergenza, quello che sicuramente soffrirà di più. Vogliamo ripartire - aggiunge - ma solo se avremo dallo Stato la garanzia di poter tenere aperto per tutta la stagione. Attivare l’impianto di un parco come Leolandia vuol dire spendere 3 milioni di euro. Non è possibile chiudere dopo 20 giorni in caso di nuova ondata di contagio. O abbiamo la certezza da parte dello Stato che una volta aperti si resta aperti oppure non riapriamo”. Uno scenario di questo genere porterebbe molti parchi a tema sull’orlo del fallimento. Soprattutto i faunistici e gli acquari che nonostante lo stop forzato dell’attività continuano a sostenere costi elevati per il mantenimento e la cura degli animali. Il rischio, avverte Ira, è quello di una “razzia da parte di operatori esteri già calati in Italia per vedere chi non ce la fa più e rilevare l’attività a prezzi di saldo”. Tocca dunque al governo, “che ha completamente abbandonato il settore turistico”, scongiurare una prospettiva di questo genere. “In questo periodo – osserva ancora il presidente dell’Associazione Parchi Permanenti Italiani – vedo molta confusione. Gli aiuti a pioggia non mi piacciono. Ci vuole una regia intelligente che non può essere relegata alle banche”. Il peccato originale, secondo il numero uno dei parchi permanenti italiani, sta nell’omogeneità di trattamento per settori completamente diversi: “Un’azienda metalmeccanica potrebbe ricevere gli stessi aiuti di un’azienda del settore turistico che però resta ferma sei mesi. Io quest’anno perderò diversi milioni di euro ma ho comunque il problema di pagare i fornitori per gli arretrati. Mi serve dunque un finanziamento per mettere in sicurezza l’azienda. La mia è una società certificata, con rating pubblico, ma per il settore bancario non sono finanziabile perchè negli ultimi anni ho investito molto. Le regole di Basilea 3 non possono essere applicate in Italia in un momento come questo: le banche dovrebbero guardare alla redditività e non solo all’indebitamento”.


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