Cosa succede in merito all’onere della prova se circa il giudizio di esecuzione più soggetti ritengono di essere proprietari di alcuni beni mobili pignorati ad un’associazione? Cerchiamo di ragionarci attraverso le norme. L’art. 621 c.p.c fissa che “il terzo opponente non può provare con testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati nella casa o nell’azienda del debitore, tranne che l’esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore”. Quindi in caso di pignoramento avvenuto nella c.d. casa del debitore (da identificare nel luogo che “inerisce ad un semplice rapporto di fatto, che abbia però una certa stabilità e non sia di temporanea ospitalità in casa altrui”, Cass. 14 giugno 1982 n. 3626; Cass. 22 giugno 2001 n. 8591), la prova del diritto sui beni, al di fuori dell’ipotesi espressamente contemplata dalla norma, potrà essere fornita solo in via documentale , con atto di data certa anteriore al pignoramento.
Stando alla limitazione probatoria prevista dall’art. 621 c.p.c., è fondamentale, individuare la parte sulla quale incombe l’onere di dimostrare se il pignoramento sia avvenuto o meno in un luogo identificabile come “casa del debitore”, e determinare a chi spetterà provare la titolarità dei beni. Inoltre, servirà stabilire se l’art. 621 c.p.c. debba trovare applicazione nell’ipotesi in cui il pignoramento è avvenuto in un luogo identificabile come casa del debitore, ma che è allo stesso tempo luogo riconducibile anche al terzo opponente, e sia dunque - per così dire - anche “casa del terzo”.
Bisogna, quindi, capire se spetta al creditore procedente, contro cui viene proposta l’opposizione, dimostrare che il pignoramento è avvenuto nella c.d. casa del debitore, ovvero al terzo opponente provare che tale luogo è privo di ogni stabile rapporto di fatto con il debitore.
La risposta arriva dalla Cassazione: spetta al terzo l’onere di dimostrare che il luogo del pignoramento non è riconducibile (nel senso voluto dall’art. 621 c.p.c.) al debitore.
Tale criterio è condivisibile, considerando che il creditore non conosce l’organizzazione del proprio debitore, che anzi spesso si fa purtroppo inseguire; diventerebbe impossibile, allora, per il creditore fornire la dimostrazione di ciò che attiene alla sfera di uno sfuggente debitore. L’ordinamento, fa ricadere al terzo opponente l’onere della prova, probabilmente al fine di evitare l’insorgere di accordi più o meno espliciti con il debitore, al fine di consentire a quest’ultimo di sottrarsi all’azione esecutiva.
Dunque, cosa deve provare il terzo, per evitare di ricadere nelle limitazioni dell’art. 621 c.p.c.? Di frequente succede che il debitore condivida un immobile con altre persone: ciò può comunemente avvenire in ipotesi di semplice convivenza tra persone fisiche, o di condivisione di un’unica sede tra persone giuridiche.
In questa eventualità, al terzo opponente e convivente non sarà affatto sufficiente dimostrare che il pignoramento è avvenuto in luogo a sé inerente. In tal caso la giurisprudenza ritiene che:
“L'espressione <casa del debitore>, usata dall'art. 621 c.p.c. per stabilire i limiti della prova testimoniale nel giudizio di opposizione all'esecuzione promosso dal terzo che pretende di avere la proprietà sui beni pignorati in quel luogo, inerisce ad un semplice rapporto di fatto, che abbia però una certa stabilità e non sia di temporanea ospitalità in casa altrui; conseguentemente, qualora in una casa convivano più persone, tutti i beni ivi esistenti possono essere pignorati per il debito di ciascuno, salvo il diritto dei conviventi non debitori di proporre opposizione a norma dell'art. 619 c. p. c. e con le limitazioni di prova stabilite dal cit. art. 621, ancorché l'opponente sia un parente” (Cass. 14 giugno 1982, n. 3626).