Liquidazione Coatta Amministrativa

Opera di Roma a rischio di liquidazione coatta


Il potere sindacale all’Opera di Roma, riesce a bloccare il teatro, anche se  minoritario, e non supera il 30 percento dei dipendenti. Lo umilia, beffa spettatori e turisti, a snaturare La Bohème , che a Caracalla ha avuto due recite senza orchestra, col solo pianoforte (per un mancato introito di 200 mila euro). Una sconfitta non solo della cultura, ma dell’intera città, che all’Opera dà la bellezza di 16 milioni 500 mila euro. Mercoledì non è a rischio il Barbiere di Siviglia: per quell’organico bastano gli orchestrali che non aderiscono allo sciopero. Il cielo tornerà nero sulla replica pucciniana del 27.

I conti in perdita

Il mondo sindacale non è più compatto: a protestare sono la Cgil e gli autonomi della Fials. La maggior parte dei lavoratori dell’Opera, aderenti a Cisl e Uil (a cui si unisce il Libersind, una volta era la sigla più barricadera, ora ha espulso tre leader accolti nella Cgil) si sono dimostrati ragionevoli e collaborativi di fronte alla minaccia concreta di liquidazione coatta del teatro. Lo prescrive la legge Bray, per quei teatri indebitati che bussano alle solite casse dello Stato: ora però se vuoi i soldi devi presentare un piano di risanamento, altrimenti è chiusura. E il rosso dell’Opera per il solo 2012, come si dirà al prossimo Cda, è superiore a quello che si pensava: 12 milioni e 800 mila euro; 5 dei 25 milioni richiesti sono già arrivati. Ma l’accordo con le sigle maggioritarie non vale niente se il teatro non funziona e gli spettacoli non vanno in scena. Non è possibile ripristinare la vecchia pianta organica di 631 dipendenti (ora sono 460). Il piano prevede zero mobilità, zero licenziamenti e lo stesso stipendio. Delle 65 unità che lasciano il teatro, ci sono pensionamenti volontari, 20 ballerini e contratti professionali non rinnovati, il resto sono trattamenti di fine lavoro secondo i termini di legge.

I sindacati ribelli

I sindacati ribelli rimproverano al sovrintendente Fuortes che l’Opera di Roma non abbia una capienza di 5000 posti ma di 4000, quando sanno tutti che l’ultima parola è delle sovrintendenze archeologiche. Il Tribunale del lavoro si è già pronunciato sulla validità del balletto su nastro magnetico, senza orchestra. Non è questo più il tempo in cui i sindacati venivano accontentati dai politici; all’Opera era il sindacato che decideva di fatto indennità e promozioni. Non paghi della sconfitta a febbraio (revocarono lo sciopero della Manon Lescaut ), i sindacati ribelli sono spiazzati e isolati dal partito di riferimento, il Pd. Non hanno trovato una sponda politica, né al ministero, né alla Regione o al Comune; parlano di «salto nel buio»: è quello che succederà se non si arrendono alla realtà.

Quale la sorte?

Come finirà? Fuortes dice che margini di trattativa non ci sono, non è possibile tornare indietro. In questa vicenda gli irriducibili sono nel sindacato dalla tradizione più classica: la Cgil. L’Opera trema.