Revocatoria Fallimentare

La banca conosceva stato insolvenza del debitore fallito?


La sentenza della Corte d'appello di Milano aveva accolto l'appello proposto da un istituto di credito contro la sentenza del Tribunale con la quale era stata accolta la domanda revocatoria proposta dalla curatela fallimentare. La prima era stata condannata al pagamento della somma di oltre 200 milioni di lire, previa dichiarazione di inefficacia (art. 67, comma 2, legge fallimentare) delle rimesse effettuate dalla società fallita, nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, sul conto corrente che quest’ultima aveva presso la banca.

Per i giudici d’appello mancava l’elemento soggettivo dell’azione posta in essere dalla curatela fallimentare; esaminando il conto corrente bancario era stato rilevato che lo stesso non era stato congelato. Vi era stata solo l’accettazione delle prestazioni al rientro ed era stato mantenuto operativo con l’affidamento concesso. C’erano stati ben tre decreti ingiuntivi in tempi non influenti.

Neanche dai due bilanci considerati dalla curatela del primo giudice potevano essere tratti elementi sfavorevoli alla banca. Del secondo neanche si poteva tenere conto in quanto era stato depositato successivamente all’ultima rimessa revocabile. Dal primo erano emersi gli elementi per desumere lo stato d’insolvenza della società.

La Corte d’appello, dunque rilevata che non avendo la banca avuto conoscenza dello stato di decozione dell’impresa, bisognava respingere la domanda nei suoi confronti e accogliere l’appello, condannando la curatela al pagamento delle spese.

Il caso giunge in Cassazione dopo il ricorso proposto dalla curatela del fallimento, la quale eccepiva che dal bilancio 1991, dove risultava un saldo attivo d’esercizio, si poteva trarre, tramite alcuni indicatori di consistenza economico-finanziari evidenziati dalla dottrina aziendalistica, taluni elementi dimostrativi della conoscenza dello stato d'insolvenza da parte della banca, elementi che la corte d’appello aveva liquidato come non utilizzabili dagli operatori economici negli anni di riferimento.

La Cassazione non si è dimostrata affatto in accordo con la curatela del fallimento, andando ad affermare che la mancata specificazione della contestazione, da parte della banca nei due gradi di giudizio, degli indici ipotizzati dalla Curatela, non andava a costituire una prova della sua consapevolezza. In virtù del principio della non contestazione, l’aver escluso che da tale bilancio si poteva trarre una possibile cognizione del presunto stato d’insolvenza della società debitrice, si è costituita un’affermazione che implicitamente ha veicolato una critica alla possibilità che con il solo fatto dell’estrapolazione di detti indici di bilancio e la loro illustrazione ex professo, si possa giungere ad un risultato che è stato escluso dal giudice d’appello con l’esame dell’intero documento contabile e dei dati contenuti in esso.

Il principio affermato dalla Cassazione fa sì che ai fini della prova della consapevolezza del dissesto della fallita serve una conoscenza effettiva e non solo potenziale della situazione debitoria.


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