Tutto ciò succede alla vigilia della prima più importante Manon Lescaut diretta da Riccardo Muti, con il debutto di Anna Netrebko. Lo stesso è successo a due teatri americani: la New York City Opera e il Lyric di Baltimora che ha poi aperto nuovamente con produzioni a basso costo.
In Italia la stessa sorte è toccata al Massimo Bellini di Catania e il Vittorio Emanuele di Messina.
Il 25 febbraio alcuni sindacati rappresentanti della maggioranza degli artisti e 40% del personale tecnico amministrativo, hanno indetto una lunga conferenza stampa per sostenere che teatro e Campidogliono non hanno aperto ancora un tavolo permanente di trattative e che i dati relativi al debito e disavanzo non sarebbero veritieri.
I sindacati hanno annunciato di avere un piano alternative al fine aumentare la produttività e ridurre i costi, che sarà consegnato al sindaco per non mancargli di riguardo.
In tale confusa presentazione dove hanno espresso la propria idea un po’ tutti, si è pensato di affidare a tempo pieno la direzione del teatro a Riccardo Muti.
Se i dati di cui si è parlato il 9 gennaio rispecchiano la situazione, non è la legge Bray a imporre la liquidazione coatta ma il codice, in quanto il debito supererebbe il patrimonio.
Il film è già visto, il modo in cui alla fine degli anni Novanta viene allontanato Giuseppe Sinopoli, che ne ha sofferto così tanto da morire prematuramente.
Ai tempi Goffredo Petrassi e Franco Mannino, due compositori, assecondarono la proposta, dal primo quotidiano della capitale e dal “Foglio”, di chiudere il teatro per tre anni, affidando la gestione a un manager internazionale. In ritardo, il progetto ha preso corpo. Come spesso succede n tali casi, perderebbero lavoro tecnici, artisti e amministrativi che considerano una profonda ristrutturazione.
Il Teatro dell’Opera di Roma ha una scarsa coesione interna, con sigle di sindacati in concorrenza, manager che per avere la pace sindacale hanno eroso il patrimonio. I sindacalisti hanno fatto riferimento al malcostume che andrebbe denunciato alle autorità e non ai giornalisti.
La situazione dell’ente che ha sede a piazza Gigli è emblematica circa i problemi del settore. Ci sono circa 8 fondazioni liriche che sono corse ai piedi della legge Bray per ricorrere ad aiuti di emergenza che consentano loro di ridurre gli organici, attuando i piani di ristrutturazione.
Le richieste di aiuto sono stato formalizzate e sono stati previsti alcuni piani di riassetto che stanno per entrare in fase operativa. Manca un concerto sindacale a Roma.