Così la Corte Costituzionale ha deciso quanto segue con la sentenza n. 388/2011. Attraverso questa decisione i giudici si sono pronunciati sulla legittimità sollevata dalle Sezioni Unite civili di Cassazione, circa la disposizione dell’art 16, co. 1, del Dlgs 30 dicembre 1992, n.504, laddove non impone alcuna riduzione dell’indennità di espropriazione delle aree fabbricabili, in relazione all’obbligo di dichiarazione o di denuncia per le variazioni ICI, andando a prevedere che l’indennizzo per i proprietari espropriati di tali aree non possono superare il valore ICI dichiarato dai medesimi.
Nell’interpretazione che è stata presa in considerazione finora, la disposizione condizionava la quantificazione dell’indennità al comportamento originariamente tenuto a fini tributari, dall’espropriato, perché, in mancanza della dichiarazione ICI o per indicazione di un valore irrisorio, la relativa indennità si sarebbe potuta azzerare per carenza del valore di riferimento.
Attraverso questa decisione, la Consulta ha precisato che il sopra menzionato articolo 16, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 non è compatibile con la tutela minima del diritto di proprietà, poiché non contempla alcun meccanismo che, nel caso di omessa dichiarazione/denuncia ICI, permette di mettere un limite alla totale elisione di tale indennità, garantendo, in ogni caso, un ragionevole rapporto tra valore venale del suolo espropriato e l’ammontare della indennità.
Rimane ferma la discrezionalità del legislatore di stabilire sanzioni che, in ogni caso, possano incidere anche sulla indennità di espropriazione, purchè non venga realizzata una sostanziale confisca del bene, con il sacrificio illegittimo del diritto di proprietà all’esclusivo interesse finanziario leso dal contribuente.
Tutto ciò andando a tenere in debita considerazione la differenza di procedimenti e di garanzie che sovrintendono all’accertamento tributario ed alle relative sanzioni, già autonomamente previste dal già citato d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504.
