Il titolo dell’articolo riporta quanto ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza 27 settembre 2012, n. 16490.
I Giudici hanno ribadito il principio giurisprudenziale secondo cui, se l'acquirente di un immobile che è stato convenuto in revocatoria, intende opporre al curatore fallimentare del venditore, la simulazione del prezzo della compravendita, dovrà dimostrare l'esistenza del patto aggiunto e contrario al contratto, mediante una documentazione, avente data certa, anteriore al fallimento, che sia opponibile al curatore, ai sensi dell'art. 2704 c.c. Ciò deve dimostrare l'avvenuto pagamento, ma anche il collegamento dell'atto solutorio con il negozio di cui costituirebbe esecuzione.
La Suprema Corte ha rigettato la decisione della Corte d’Appello, la quale si era limitata ad accertare l’opponibilità al curatore degli assegni depositati dagli appellanti. In base a tale circostanza, la Corte d’Appello, ricavava la logica del collegamento tra rilascio dei titoli e compravendita impugnata, nonché l’anteriorità della compravendita al fallimento.
La certezza della data dei titoli, però, non era poteva attribuire certezza della data anche al contratto preliminare. E quindi, se manca la dimostrazione dell'anteriorità di tale contratto al fallimento, non è possibile per gli acquirenti far valere nei confronti del curatore l'intervenuta pattuizione di un prezzo di vendita maggiore rispetto a quello presente nel rogito. Gli assegni non costituivano la prova che il loro rilascio era avvenuto in esecuzione del pagamento del prezzo nei confronti della venditrice. Circa l’elemento soggettivo, la Corte Suprema si chiedeva se per gli acquirenti fosse possibile o meno accertare la qualità di socio del disponente, nonché la sussistenza dello stato di insolvenza della società fallita. La Corte d’Appello considerava sussistente l’ignoranza degli acquirenti per due motivi: la circostanza che la socia fallita aveva stipulato il rogito nella qualità di proprietaria dell’immobile e non quale esercente di un’attività commerciale; il fatto che la trattativa era stata conclusa da un agente immobiliare.
La Suprema Corte ha ritenuto tali elementi privi di gravità, precisione e concordanza, criteri necessari per soddisfare l’onere della prova gravante sul convenuto in revocatoria fallimentare.
La prima circostanza non sarebbe stata idonea a portare gli acquirenti ad ignorare che la venditrice fosse socia illimitatamente responsabile nella società dichiarata fallita, e la seconda, ovvero che la trattativa condotta dall’agente immobiliare, non rappresentava un motivo tale da provare l’ignoranza degli acquirenti circa lo stato di insolvenza della società.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata.