Procedure Concorsuali

Google in tribunale: la responsabilità penale delle piattaforme hosting


Si è conclusa la prima fase del processo “vividown”.

Il giudice Oscar Magi della quarta sezione penale del tribunale di Milano ha condannato in primo grado 3 dipendenti di Google (David Carl Drummond, George De Los Reyes e Peter Fletitcher) a seguito della pubblicazione di un video scandalo del 2006 che mostrava un giovane ragazzo down aggredito e umiliato dai suoi compagni di scuola.

L’ accusa confermata era quella di violazione della privacy e ha portato ad una condanna di reclusione di 6 mesi, con pena sospesa. Tutti gli imputati sono stati invece assolti per quanto attiene il reato di diffamazione.

Il portavoce di Google, Marco Pancini, annuncia che verrà proposto ricorso contro una sentenza che, stando alle sue parole, di fatto prevede per gli impiegati della piattaforma hosting una responsabilità penale per atti illeciti attribuibili a terzi tanto più se si considera che ovviamente i tre manager indagati non hanno realizzato o visionato o pubblicato personalmente il video.

Una sorta di tacita reintroduzione dell’emendamento D’Alia caduto da tempo (secondo cui appunto la piattaforma ospitante è responsabile dei contenuti pubblicati dai singoli utenti).

Pancini definisce eccessivo lo stesso processo facendo forza sulla normativa vigente per internet che tutela i service provider da eventuali contenuti illeciti pubblicati da terzi, qualora ovviamente si impegnino da parte loro a rimuoverli appena ne vengono a conoscenza.

Il dispositivo della sentenza è stato, su ordinazione del giudice, pubblicato ufficialmente sul Corriere della sera, su la Repubblica e su la Stampa.

Un caso che farà senza dubbio discutere, una sentenza che farà il giro del mondo.

Bisogna di sicuro trovare un giusto compromesso ma prima ancora bisogna capire qual è nella fattispecie specifica la libertà da tutelare: quella del colosso Google o quella del singolo? Forse entrambe..


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