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Fallimenti, un museo raccoglie i peggiori della storia


È un museo ma, in realtà, è più che altro un punto di riflessione. Curiosa e appassionata – si dirà – ma pur sempre un luogo nel quale poter toccare con mano che anche i più grandi flop della storia nascondono in realtà delle occasioni di rilancio e di successo. Protagonista del nostro approfondimento di oggi è infatti il Museo dei Fallimenti che a giugno dello scorso anno ha aperto a Helsingbord, in Svezia: un contenitore di oltre 50 gravi default della storia, messi insieme in maniera attenta da Samuel West. Ma quali sono?

I peggiori fallimenti della storia in un Museo

L’elenco è davvero lungo e, peraltro, ben contiene anche alcuni esemplari realizzati da grandi società. Impossibile dunque non citare l’Apple Newton, un palmare sbarcato negli anni ’90, con costi elevatissimi e funzionalità non certo eccezionali. Oppure, come non ricordare l’N-Gage di Nokia: lanciato nel 2003 allo scopo di far concorrenza al Game Boy di Nintendo, non convinse il mercato: colpa di un’estetica non certo riuscita, e della fatica di far digerire ai consumatori un ibrido tra smartphone e console.

Il museo non contiene, tuttavia, solo fallimenti noti e dall’impatto milionario. È infatti ben possibile scorgere idee curiose e innovative che, tuttavia, nella maggior parte dei casi (e a ragion veduta) non possono che far sorgere il dubbio sulla reale necessità di lanciare sul mercato simili oggetti.

Tra i più “particolari” c’è ad esempio CueCat, un lettore di codice a barra dalla forma di un gatto, utilizzabile per poter raggiungere il sito internet di una rivista o di un prodotto con la lettura del codice a barre: quasi nessuno sembra averne compreso il senso e, intuibilmente, è stato ritirato quasi subito dal mercato. E che dire del più recente TwitterPeak? Si trattava di un dispositivo che aveva come unico scopo quello di agevolare l’utilizzo dei cinguettii: considerato che costava 200 dollari e che le stesse funzioni potevano essere svolte con un qualsiasi cellulare, nessuno lo trovo particolarmente irresistibile.

Tra le altre mal pensate c’è anche spazio per la Bic: punto di riferimento per la produzione delle penne, la società nel 2012 ebbe la cattiva intuizione di lanciare una penna tutta al femminile, a un prezzo doppio rispetto al normale. Altro brand noto è quello di Colgate: non tutti però sanno che negli anni ’80 la società – il cui marchio è strettamente collegato al mondo dell’igiene orale – decise di tentare la fortuna nel campo dell’alimentazione, lanciando una serie di pizze surgelate da mangiare… prima di lavarsi i denti con la stessa pasta Colgate.

Concludiamo infine con un fallimento che, probabilmente, ha segnato anche la fine di un’era: quella delle videocassette. Nel museo di Spencer c’è infatti anche spazio per Blockbuster, soffocata dall’esplosione dello streaming e dalla nascita di Netflix & co. Blockbuster è stata condotta in bancarotta nel 2010, ma la sua crisi era iniziata molto tempo prima e, soprattutto, aveva finito con l’essere il simbolo di un mondo che cambiava (almeno, sotto il profilo dell’entertainment!).


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