L’avvento dei fallimenti ha impattato negativamente su tutti i settori ma, evidentemente, la regola generale non vale nei confronti del settore del vino, nel quale emerge un discreto andamento dei business del comparto, e nel quale le società operanti hanno mostrato interessanti margini di resistenza e di forza. A sostenerlo sono stati i dati di Crif Ratings elaborati da Wine monitor Nomisma, secondo cui gli elementi statistici congiunturali sono stati evidentemente positivi, con crescita dell’export e tenuta dei consumi interni: quanto basta per poter generare un adeguato mix di determinanti, che si è riflettuto ottimisticamente sugli indici di rischiosità del settore.
Tassi di default sotto la media
In merito a quanto sopra accennato, sulla base delle osservazioni di Wine monitor Nomisma è ben possibile riepilogare come i tassi di default nel settore vinicolo italiano stiano risultando ampiamente al di sotto della media registrata per l’intera industria alimentare e delle bevande, denotando pertanto una discreta forza da parte degli operatori di settore, evidentemente in grado di relazionarsi con maggiore incisività dinanzi alle difficoltà economico – finanziarie, rispetto a quanto non abbiano fatto gli operatori di altri settori dell’industria alimentare.
A dimostrazione di ciò, sia sufficiente dare uno sguardo all’andamento degli incagli e delle sofferenze bancarie (il c.d tasso Basilea “past-due 90”) in relazione ai default pubblici (cioè, alle procedure concorsuali o agli eventi pregiudizievoli). In tal senso, è emerso che nel corso del 2016 i tassi di default Basilea e pubblico del settore Wine si sono attestati, nell’ordine, al 2,8 per cento e allo 0,5 per cento, e dunque su livelli che sono stati sensibilmente inferiori a quelli del complessivo comparto del Food & Beverage (ovvero, la media dell’industria alimentare e delle bevande) risultati rispettivamente pari al 3,6 per cento e allo 0,7 per cento, ovvero 1,2 punti e 0,2 punti superiori a quanto riscontrato all’interno del Wine.
Calo del livello di rischiosità
A ulteriore conferma dei buoni presupposti vi è certamente il contenimento del livello di rischiosità del comparto, che anche nel corso del 2016 ha proseguito la propria strada di riduzione, come “certificato” dalla flessione dei default Basilea dal 3,9 per cento del 2015 al 2,8 per cento del 2016, con un livello di “atterraggio” che è molto più contenuto rispetto agli standard pre-crisi (2007-2008). Contemporaneamente, si nota dall’elaborazione che è stata effettata dal Monitor, i default pubblici si sono ormai stabilizzati attorno allo 0,5 per cento (2016 e 2015), con una soglia che è sostanzialmente allineata a quanto rilevato prima dei difficili anni di crisi economica.
Alla luce di tali valutazioni, è sicuramente possibile esprimere una parere piuttosto confortante sull’evoluzione di questo comparto, evidentemente in grado di poter fronteggiare in modo adeguato le grandi sfide che nel corso degli ultimi anni sono state proposte: una crescente propensione all’export ha permesso al comparto di diversificare il proprio fatturato, rivolgendosi con convinzione anche a quei mercati emergenti non toccati dalle criticità internazionali, mentre la tenuta dei consumi interni ha costituito una utile base per la solidità delle proprie iniziative.