La Corte di Cassazione ha annullato un'ordinanza del tribunale di Pescara che aveva disposto il sequestro preventivo dei beni appartenenti a una società edile che non aveva versato 170 mila euro di IVA nelle casse dello Stato. Il ricorso alla Suprema Corte era stato motivato dall'imprenditore sostenendo che il sequestro preventivo avrebbe di fatto impedito il proseguimento dell'attività, e che la società vantava crediti maturati nel corso degli anni per importi significativi, buona parte anche nei confronti dello Stato (verso cui risultava creditrice per 3,9 milioni di euro). Ebbene, proprio questi elementi - evidentemente trascurati dal tribunale - sono stati presi in seria considerazione dalla Corte, che ha accolto il ricorso dell'imprenditore sostenendo che "tutti gli elementi a discarico sono stati ignorati dal tribunale, che non ha spiegato neppure le ragioni poste a sostegno della propria decisione.
Altri esempi di evasione di sopravvivenza
Ad ogni modo, non è questa l'unica sentenza che sembra incanalarsi verso un sentiero giurisprudenziale sempre più tracciato. Qualche anno fa il tribunale di Venezia assolse un imprenditore accusato di non aver versato nelle casse statali 135 mila euro di IVA: in quell'occasione l'imprenditore dimostrò la propria buona fede, sostenendo di aver preferito non pagare l'imposta sul valore aggiunto per poter saldare le fatture che avrebbero permesso la prosecuzione dell'attività aziendale e il salvataggio dei posti di lavoro. Una volta pagate le fatture in sospeso, l'imprenditore ha poi domandato all'Agenzia delle Entrate la rateizzazione dei debiti nei confronti della stessa, per Iva non versata.
L'anno successivo fu la volta di un imprenditore milanese, assolto dall'accusa di aver evaso l'IVA per circa 180 mila euro. Anche in quell'occasione i giudici sostennero la tesi della difesa, che sosteneva che l'imprenditore non era nelle possibilità di versare all'erario l'imposta sul valore aggiunto a causa della difficile situazione economica della propria impresa.
Insomma, per quanto controversa, nel corso degli anni si è venuta a formare una sorta di comprensione nei confronti della c.d. "evasione di sopravvivenza", ovvero nei confronti di quelle fattispecie concrete che vedono protagonista un'impresa che, in buona fede e per poter garantire la sussistenza della propria attività (con conseguente mantenimento degli interessi occupazionali), non ha versato imposte e tributi.
Nel caso affrontato dal tribunale di Pescara, la situazione era ancora più netta: l'impresa che ha subito il sequestro preventivo era infatti creditrice nei confronti dello Stato di un importo ampiamente superiore dei debiti verso le Entrate. Il tutto, a sottolineare come, nonostante i passi in avanti compiuti (i debiti dello Stato nei confronti delle imprese hanno toccato 91 miliardi di euro nel 2011) tanto rimanga ancora da fare per poter snellire l'iter di pagamento degli enti della pubblica amministrazione nei confronti delle società creditrici (ad agosto 2015 l'ammontare era pari a 30 miliardi di euro). L'aver fissato un termine di pagamento di 60 giorni per il regolamento delle fatture non sembra esser di corrente rispetto (alcune rilevazioni sostengono che in realtà la media dei termini di pagamento è superiore a 100 giorni), lasciando dunque ampi margini di interpretazione su quel che verrà...