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Cosa c’è dietro il fallimento delle Coop Cooperative Operaie


Si parla di società controllate dalle stesse Cooperative Operaie e di cessioni immobiliari. La bolla ha generato un passivo di 37 milioni di euro, ripulendo i fondi delle Cooperative operaie. E a pagare chi sono? Sicuramente i 600 dipendenti, che non hanno alcuna colpa, nonché le migliaia di investitori che hanno impiegato il loro denaro nella vicenda.

Le indagini del pm e il trucco contabile di Livio Marchetti

Il trucco contabile per il quale è stato posto sotto indagine l’ex presidente Livio Marchetti, ha permesso, secondo quanto sottolineatoo dai pm Federico Frezza e Matteo Tripani di “gonfiare il patrimonio netto e di rientrare, a livello fittizio, nei parametri per il prestito sociale, la cui entità non deve superare il quintuplo del patrimonio netto stesso”. Le operazioni rilevate dal consulente della Procura, Piergiorgio Renier e dai finanzieri sono ben quattro. La prima risale al 24 dicembre 2010: vendita, o meglio conferimento alla Cotif immobiliare Srl dell’azienda Coop Trgovine doo. Il prezzo è pari a 8milioni 630 mila euro. Coop Trgovine doo stava coprendo, però, due mutui per 16 milioni di euro con la stessa Coop.

Le operazioni si incentrano su Livio Marchetti

La seconda operazione concerne la cessione per 9 milioni 440 mila euro a Cotif di sette immobili commerciali. La terza è il passaggio sempre a Cotif di un altro stabile per quasi 5 milioni di euro. Per 6 milioni 500 mila euro, invece, c’è stata la cessione dell’immobile di via Palatucci. Tale organizzazione ha realizzato in questo modo i bilanci falsi.
La correttezza dei rendiconti era solo formale, in realtà, questi erano appoggiati alla cassaforte del prestito sociale. La bolla immobiliare è stata scoperta nel novembre di un anno fa da un socio. Si chiama Livio Lonzar. In un esposto alla Procura aveva denunciato la stranezza di alcune operazioni condotte. Nonostante ciò, però, si è permesso alla Coop di portare a termine due importanti plusvalenze pari a oltre 15 milioni di euro dopo aver pagato quasi 500 mila euro tra tasse e notaio.

Le Coop si sono poi occupate del pagamento degli affitti degli immobili. L’operazione di dissesto ha avuto inizio nel 2007, portando ad un grande buco, pari a 2,8 milioni. Questo è sempre più cresciuto, raggiungendo 5,5 milioni. E poi nel 2010, 3 milioni; nel 2011, 4,5 milioni, nel 2012 6,9 milioni e nel 2013 è esploso a oltre 9 milioni di euro. All’inizio del 2014 sono andati perduti altri 6 milioni di euro.

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Nel cercare di avvicinarsi alle Cooperative rosse, quella del direttore generale è la prima responsabilità ad essere presa in una gestione deficitaria che ha condotto al fallimento.
All’interno del provvedimento in cui la Procura chiede al Tribunale civile chiede il fallimento delle Cooperative operaie a causa di questo grande buco e l’immediata adozione di provvedimenti per tutelare il patrimonio con la nomina di un amministratore giudiziario “si aggiunge l’emorragia del prestito sociale sceso da 122 a 103 milioni nei primi mesi del 2014”. Per poi aggiungere all’interno degli provvedimento che “questi 103 milioni di euro le Coop non li hanno. Si reggevano sulla speranza che i prestatori se ne rimanessero buoni a casa e non venisse a quasi nessuno in mente di recarsi allo sportello di via Gallina a chiedere di ritirare il proprio denaro”.

Si può poi leggere “Le Cooperative non sono più in grado di far regolarmente fronte alle obbligazioni con mezzi ordinari e straordinari”. La situazione non è affatto semplice soprattutto dopo aver fatto partire l’ipoteca dell’immobile del supermercato “Torri d’Europa” per ottenere altri due prestiti da 5 e 3 milioni di euro. “Da giugno 2014 le Cooperative hanno già perso alcuni dei suoi immobili di pregio. Questo solo per tamponare alla disperata le falle di una gestione che è in perdita costante e irreversibile da ben più di un quinquennio”.

La Procura nel frattempo ha chiesto di mantenere aggregata l’impresa, al di là della richiesta di fallimento. Bisogna salvaguardare i risparmiatori. Scrivono, infatti: “Non c’è più tempo per indugi e tentennamenti. L’unica possibilità di salvare i posti di lavoro e i risparmiatori è mantenere aggregata l’impresa. Non disperdene i valori immateriali. Farla ripartire dopo aver rimosso il management inadeguato. Si potrà fare solo con un intervento deciso e radicale del Tribunale”.


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