Bancarotta

Contestazione bancarotta, il piano di risanamento non la evita


Secondo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione attraverso la sentenza n. 8926, la presenza di un piano di risanamento – anche, come nella fattispecie analizzata dai giudici della Suprema Corte, attestato da un professionista qualificato – non può mettere al riparo dalla possibile contestazione del reato di bancarotta e delle relative misure cautelari che poi – sempre nella fattispecie esaminata dai giudici - hanno condotto al sequestro preventivo finalizzato alla confisca di un complesso aziendale.

Con la sentenza sopra accennata, la Corte ha dunque confermato il giudizio del tribunale del riesame, che in sede di appello aveva posto in evidenza come gli amministratori di una società a responsabilità limitata avessero distratto, prima della data di pubblicazione della sentenza di fallimento, i beni che componevano il complesso aziendale della società. In maniera più specifica, la Cassazione ha poi sottolineato come, secondo quanto ricostruito dai giudici del tribunale, la dismissione di tutti gli asset aziendali da parte della società a responsabilità limitata fosse stata effettuata dopo che il tribunale aveva convocato il debitore per chiudere la procedura di concordato preventivo avviata dallo stesso e procedere eventualmente alla dichiarazione di fallimento.

Una finestra temporale nella quale la Corte evidenzia come il debitore non avesse facoltà di vendere i beni approfittando del fatto che non venne pubblicata immediatamente la sentenza di fallimento, e al di là della redazione di un piano di risanamento aziendale redatto sulla base dell’articolo 67, comma 3, lettera d) della legge fallimentare, secondo cui non sono soggetti a revocatoria:

“d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 28, lettere a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; il professionista è indipendente quando non è legato all'impresa e a coloro che hanno interesse all'operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l'indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo; il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore”.

Un piano che i giudici ricordano essere stato predisposto “in fretta e furia” dopo la comparizione del debitore dinanzi al tribunale.

I giudici della Corte hanno infatti sottolineato come il piano di risanamento, ancorchè attestato da un professionista qualificato, deve essere idoneo a permettere – appunto - il risanamento dell’esposizione debitoria dell’azienda e assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria. E proprio tale ragione conduce dunque a escludere dalla possibile azione revocatoria i pagamenti che vengono effettuati in esecuzione del piano di risanamento, che proprio in virtù della presenza dell’attestazione del professionista, deve essere finalizzato alla prosecuzione dell’attività e non alla liquidazione della società, magari dopo averla spolpata di ogni valore, come invece avvenuto nella fattispecie d’esame.

Da quanto sopra ne deriva che la redazione del piano, anche attestato dal professionista, non è elemento sufficiente per poter escludere possibili valutazioni di congruenza e fattibilità, quando è strumentalmente destinato “a proteggere attività negoziali che, per essere svolte in un momento di crisi dell’impresa, si appalesano idonee a distogliere il patrimonio dalla sua finalità tipica (la garanzia per i creditori)”.


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