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Come prevenire un fallimento aziendale


La previsione di un fallimento aziendale è obiettivo di significativa rilevanza non solamente per i grandi investitori istituzionali, quanto anche per i piccoli risparmiatori, per i fornitori della società coinvolta nella crisi e per tutti gli stakeholders che abbiano interesse alle sorti dell’azienda. Ma è davvero possibile prevedere una possibile insolvenza e, in tal modo, salvaguardare il capitale (in caso di investimento) ed evitare fatture impagate (in caso di fornitori)?

Quali tecniche usare

Per poter rispondere alla domanda di cui sopra, Borsa Italiana negli scorsi giorni ha rilasciato un interessante intervento con il quale si cerca di fare il punto su quelle che possono essere le tecniche concretamente applicabili per poter prevedere un fallimento aziendale.

In tal proposito, due possono essere le tecniche di riferimento. Cominciamo con la prima, che si basa su metodi intuitivi, che a loro volta puntano su aspetti oggettivi e soggettivi. Tra gli aspetti oggettivi, a loro volta, troveranno riferimento l’appartenenza di un’impresa a settori maturi o in difficoltà, la perdita di quote di mercato, le inefficienze produttive, commerciali, amministrative, organizzative, finanziarie, sbagliati investimenti, bilanci in perdita, e così via. Tra gli aspetti soggettivi, invece, assumerà rilevanza le capacità e i comportamenti del management, e dei soci aziendali.

La seconda tecnica di riferimento è invece quella basata sull’analisi per indici e, dunque, sul preliminare esame dei dati di bilancio. Tra gli indicatori più noti per poter valutare la crisi finanziaria e patrimoniale di un’azienda c’è sicuramente l’indice di Altman (così chiamato poiché sviluppato dall'economista Edward I. Altman), secondo la cui formula (“Z-Score”) si può calcolare la probabilità di fallimento di una società.

Per poter alimentare la formula sarà necessario utilizzare alcuni dati facilmente ottenibili dal bilancio:

  • Ricavi
  • Risultato ante imposte
  • Riserve (utili non distribuiti)
  • Capitale circolante netto
  • Totale attività
  • Totale passività (al netto del patrimonio netto)
  • Valore di mercato della società

La formula sarà invece determinata dalla somma tra i seguenti punti X1, X2, X3, X4 e X5, laddove:

  • X1: Capitale circolante netto/Totale attività;
  • X2: Riserve (utili non distribuiti)/Totale attività;
  • X3: Risultato ante imposte/Totale attività;
  • X4: Valore di mercato della società/Totale debiti;
  • X5: Vendite/Totale attività.

Secondo la formula, solamente nel caso in cui la sommatoria tra i vari punti dia un valore superiore a 1,8, l’impresa è da considerarsi sana. Se invece il valore è inferiore a 1,8, l’impresa potrebbe avere elevate probabilità di insolvenza. Naturalmente, non esistono dei livelli “certi” per poter contraddistinguere le probabilità di insolvenza: tuttavia, secondo quanto afferma l’esperienza storica nell’utilizzo dell’indicatore, valori costantemente superiori a 3 denoterebbero la presenza di un’impresa sicuramente sana, mentre valori inferiori a 1,8 determinerebbero – come sopra già anticipato – delle imprese con alte probabilità di insolvenza. Nella fascia intermedia risiederebbero infine le imprese con bassa probabilità di insolvenza, che andrebbero tuttavia analizzate anche con il metodo intuitivo, basato sull’osservazione di diversi aspetti della vita dell’impresa, come quelli oggettivi e soggettivi che sopra abbiamo accennato.


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