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Workers buyout in crescita: i dipendenti salvano le aziende


Imprese in crisi o fallite vengono rilevate dai lavoratori costituiti in cooperativa. Lo strumento è nato negli anni Ottanta ed è ancora molto utilizzato

A volte sono i dipendenti a salvare le aziende fallite. Quando gli imprenditori non ce la fanno più possono essere i lavoratori a mettersi in gioco con uno strumento a cui molto spesso, negli ultimi anni di crisi economica, si è fatto ricorso: il workers buyout. Non si tratta di una possibilità nuova, tutt’altro. In Italia è stata istituita nel 1985 con la Legge Marcora. Si introduceva un fondo di rotazione per finanziare progetti presentati da cooperative e un fondo statale per gli interventi a salvaguardia dei livelli occupazionali tramite nuove iniziative imprenditoriali in forma di cooperativa.

Come funzionano i workers buyout

Quest’ultimo aspetto, in particolare, rappresenta le fondamenta del WBO, poi ripensato in parte nel 2001. A grandi linee, possiamo dire che di solito funziona così: i lavoratori di un’impresa in crisi o fallita si organizzano per rilevarne il capitale sociale. Spesso affiancati da un soggetto che li guida (centrali cooperative, consorzi o altri investitori) danno vita ad un business plan. A questo punto si accede al fondo, che va restituito nell’arco di un decennio, e il capitale sociale viene costituito dall’indennità di disoccupazione o di altri ammortizzatori sociali. I dipendenti diventano così soci-lavoratori dell’azienda e, di fatto, padroni del loro destino.

Cosa valutare prima di questo primo passo

Ovviamente non è sempre possibile questo percorso. La prima cosa da valutare è i motivi per cui l’azienda è in crisi, vale a dire se il fallimento è dipeso da scarse capacità manageriali o da difficoltà strutturali del settore. Va detto che spesso i costi delle cooperative che rilevano il marchio sono più leggeri della “ditta originale” perché molti lavoratori trovano altri impieghi o preferiscono non imbarcarsi nell’avventura.

I numeri dei salvataggi

Tra il 2007 e il 2013, secondo gli ultimi dati diffusi alla Camera, si è passati da 81 a 122 WBO attivi. L’Emilia-Romagna è un po’ la terra d’elezione per questo tipo di imprese: tra il 2011 e il 2015 sono state create 16 cooperative con un fatturato di 72,03 milioni di euro e 386 addetti. Ma nei primi anni Novanta erano soprattutto Toscana, Marche e Veneto le regioni più produttive.

Le nuove proposte sul tavolo

Secondo Cfi, la società delle centrali cooperative che accompagno i workers, si tratta di operazioni a costo zero per lo Stato che - anzi - ci guadagna: non paga mobilità e oneri figurativi e previdenziali ma incassa Irpef e Iva. Senza dimenticare la dignità del lavoro dei dipendenti che, così, non finiscono in Cassa Integrazione. Alla commissione Lavoro della Camera nei mesi scorsi è stata votata una risoluzione di legge presentato dal Movimento 5 Stelle e già votato che prevede decontribuzioni ed agevolazioni speciali per chi sceglie questo strumento. Il tutto per rendere solide e durature queste imprese.
 


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