Fallimento

Quando l’imprenditore fallito muore


Fallimento dichiarato prima della morte 

In caso di morte dell’imprenditore fallito la legge ritiene importante individuare un soggetto che possa esercitare tutti i poteri ed assumere gli oneri che la legge pone in capo al fallito.
L’art. 12 L.F., risponde a questa esigenza e stabilisce che se l’imprenditore muore dopo la dichiarazione di fallimento, la procedura prosegue nei confronti degli eredi, anche se hanno accettato con beneficio di inventario. 
 

Continuazione automatica

La procedura concorsuale prosegue automaticamente nei confronti degli eredi indipendentemente dal fatto che abbiano accettato puramente e semplicemente o con il beneficio di inventario.  
Occorre distinguere, tuttavia, le due differenti ipotesi di accettazione
  • accettazione pura e semplice: in questo caso si verifica la confusione del patrimonio del fallito con quello dell’erede. I creditori del fallimento, quindi, potranno soddisfarsi anche sul patrimonio dell’erede.   
  • accettazione con il beneficio di inventario: il patrimonio del fallito ed il patrimonio dell’erede rimangono separati per cui nessun creditore del defunto potrà aggredire il patrimonio dell’erede.
Premesso quanto sopra, quindi, è possibile desumere che in materia fallimentare la morte del fallito non costituisce una causa di interruzione del procedimento ex art. 300 c.p.c., il quale dispone che in caso di morte della persona già costituita, il processo si interrompe fino a quando gli eredi non si costituiscono.
 

Presenza di più eredi

L’art. 12 L.f. stabilisce che nel caso in cui vi siano più eredi, occorre la designazione di un erede quale rappresentante, nei cui confronti la procedura prosegue. 
Nel caso in cui gli eredi non dovessero trovare l'accordo sulla designazione di un loro rappresentante entro 15 giorni dalla morte del fallito, la scelta spetta al Giudice delegato
 

Quando nessun erede ha interesse ad accettare l’eredità del fallito

L’automatica prosecuzione avviene anche in caso di eredità giacente, ossia quando il chiamato non ha accettato l’eredità e non è nel possesso dei beni.
Nella citata ipotesi la procedura prosegue nei confronti del curatore dell’eredità giacente.
In questo caso il tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, su istanza delle persone interessate (quindi anche del curatore fallimentare) o anche d’ufficio, nomina un curatore dell’eredità giacente.
Ovviamente, al fine di evitare conflitti di interessi, il curatore dell’eredità giacente dovrà necessariamente essere persona diversa rispetto al curatore fallimentare.
 

Sussiste il diritto pensionistico? 

Ci si è chiesto se in caso di morte del marito fallito, già percettore di pensione, spetti alla moglie, per il periodo successivo alla morte del marito, la corresponsione della somma corrispondente alla quota della pensione di cui era stato autorizzato il pagamento ai sensi dell’art. 46 comma 1, n. 2 l.f., il quale stabilisce che non sono compresi nel fallimento gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensione, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività, entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia.
Sul caso, infatti, è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione statuendo con sent. 2658/2015 che: “Nel caso di corresponsione di pensione il diritto si estingue con la morte del fallito per la conseguente cessazione del rapporto pensionistico del quale lo stesso era titolare, senza che si possa prospettare un diritto nei favori del coniuge sotto forma di pensione di reversibilità, il cui trattamento costituisce oggetto di autonomo diritto, seppure con presupposti derivanti dal rapporto pensionistico del coniuge deceduto.”
Orbene, può affermarsi che nel caso in cui il fallito muoia, la pensione non si trasferisce alla moglie sotto forma di pensione di reversibilità. 
La ratio, secondo il Collegio, è quella di non depauperare l’attivo del fallimento se il passivo non risulta del tutto stabilizzato. 
 

News correlate