Fallimento

L’imprenditore agricolo non è soggetto a fallimento


Quali imprese possono fallire?

Non tutti gli imprenditori possono fallire.
La legge fallimentare, all’art. 1, specifica quali sono le imprese soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo sulla base di criteri qualitativi e quantitativi
Come vedremo, la figura dell’imprenditore agricolo è esclusa dal fallimento a prescindere dalle dimensioni della stessa.
Pertanto, come confermato dalla L. 3/2013, l’imprenditore agricolo potrà accedere solamente alla procedura di sovraindebitamento.
 

Individuazione delle imprese soggette al fallimento e concordato preventivo 

La legge fallimentare, come detto, all’art. 1 indica come soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, escludendo dalla disciplina gli enti pubblici.
Sono sottratti a tale normativa, inoltre, i piccoli imprenditori, ossia quelli che non raggiungono un determinato standard quantitativo. 
Al fine di scongiurare la declaratoria di fallimento, quindi, i piccoli imprenditori dovranno dimostrare il possesso congiunto di tre requisiti:
  1. Aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad € 300.000,00 (euro trecentomila);
  2. Aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad € 200.000,00 (euro duecentomila);
  3. Avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad € 500.000,00 (euro cinquecentomila. Con riferimento a questo ultimo requisito, recentemente è intervenuta la Corte di Cassazione statuendo che: “l 'accertamento del requisito di fallibilità di cui all'art. 1, comma 2, lett. c), l. fall., va compiuto procedendo alla valutazione dell'esposizione complessiva dell'imprenditore, nella quale deve tenersi conto non solo dei debiti già sorti e appostati al passivo del bilancio, ma anche di quelli ulteriori, contestati in tutto o in parte, e ancora sub iudice. Tale circostanza, infatti non ne impedisce di per sé sola l'inclusione nel computo dell'indebitamento - rilevante quale dato dimensionale dell'impresa per stabilirne l'assoggettabilità al fallimento - in quanto attiene a un dato oggettivo che non dipende dall'opinione del debitore al riguardo e, al pari di ogni altro presupposto della dichiarazione di fallimento, non si sottrae alla valutazione del giudice chiamato a decidere dell'apertura della procedura concorsuale.
I limiti indicati possono essere aggiornati ogni 3 anni con decreto del Ministro della Giustizia.  
 

Esclusione dell’imprenditore agricolo

Come si è potuto notare, dal tenore della norma sono quindi esclusi gli imprenditori agricoli. 
Ma cosa si intende per imprenditore agricolo?
Il d.lgs. 228/2001 è intervenuto ad ampliare detta definizione riscrivendo l’art. 2135 c.c.
Secondo quanto stabilito dal citato articolo, imprenditore agricolo è colui che esercita l’attività di coltivatore del fondo, selvicoltura, allevamento di animali (definibili attività principali) e attività connesse
  • Per attività principali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. 
  • Per attività connesse si intendono quelle attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dell’allevamento di animali, nonché le attività diretta alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.  
Tale ampliamento ha però assottigliato il confine tra le categorie di imprenditore agricolo ed imprenditore commerciale.
Ai fini di una corretta classificazione dell’attività di impresa nella categoria “impresa agricola” o nella categoria “impresa commerciale”, deve essere verificata la coerenza o meno delle “attività connesse” unitamente alla natura dell’attività esercitata. 
Ne consegue che per aversi connessione è necessario che il soggetto che esercita l’attività connessa eserciti già quella essenziale e che le attività connesse non prevalgano sull’attività essenziale, ossia quando l’attività connessa ha per oggetto beni derivanti prevalentemente dalla coltivazione del fondo, dalla selvicoltura e allevamento di animali. 
 
 

News correlate