Fallimento

Cosa succede al giudizio in caso di fallimento di una parte processuale


Interruzione del procedimento

Come noto, secondo quanto previsto dall’art. 43, 3 comma della Legge Fallimentare, l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo. 
Con la riforma della legge fallimentare intervenuta con il d.lgs. 5/2006, è stata modificata la disciplina relativa ai processi pendenti al momento della dichiarazione di fallimento. 
Ci si è chiesto se nel caso in cui intervenga la dichiarazione di fallimento di una parte, in pendenza del giudizio, si debba applicare la disciplina generale prevista dall’art. 300 c.p.c. oppure se l’effetto interruttivo operi di diritto anche quando il soggetto fallito stia in giudizio tramite un difensore. 
 

Automatismo dell’interruzione

Con sentenza n. 5288/2017 del 01.03.2017 la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta statuendo che “L’art. 43, comma 3, l.fall. va interpretato nel senso che, intervenuto il fallimento, l'interruzione è sottratta all'ordinario regime dettato in materia dall'art. 300 c.p.c., nel senso, cioè, che è automatica e deve essere dichiarata dal giudice non appena sia venuto a conoscenza dall'evento, ma non anche nel senso che la parte non fallita sia tenuta alla riassunzione del processo nei confronti del curatore indipendentemente dal fatto che l'interruzione sia stata, o meno, dichiarata.”
A stabilire l’automatismo dell’interruzione è intervenuto anche il Tribunale di Reggio Emilia il quale ha affermato che l'interruzione automatica del processo ex art 43 comma 3 L.F.  costituisce conseguenza diretta della sentenza dichiarativa di fallimento di una delle parti, senza che possa trovare invece applicazione nel caso specifico l'art. 300 c.p.c.
Ciò significa che non è più necessaria la dichiarazione da parte del procuratore della parte fallita o la notificazione alle altre parti, come previsto dall’art. 300 c.p.c.  
Quindi, è possibile affermare che l’interruzione opera in modo automatico e deve essere dichiarata dall’organo giudicante non appena è venuto a conoscenza dell’evento.
Rimane, in ogni caso, l’onere per la parte che non è fallita di riassumere il processo nei confronti del curatore, indipendentemente dal fatto che l’interruzione sia stata dichiarata o meno. 
 

Chi sta in giudizio in caso di fallimento 

Come anticipato, con la dichiarazione di fallimento si verifica la perdita della capacità di stare in giudizio del soggetto fallito, spettando la legittimazione processuale esclusivamente al Curatore.
 

Riassunzione del procedimento 

A norma dell’art. 305 c.p.c. il processo deve essere riassunto entro il termine perentorio di 3 mesi dall’interruzione, altrimenti si estingue. 
Da che momento decorre detto termine in caso di interruzione automatica del processo, stante il fatto che l’evento interruttivo potrebbe essere anche ignorato dal soggetto interessato alla continuazione del giudizio. 
Per assurdo, quindi, potrebbe verificarsi la chiusura del processo nel caso in cui il soggetto interessato decada incolpevolmente dal termine di tre mesi fissato dall’art. 305 c.p.c.
Proprio per questo motivo si è stabilito che in caso di interruzione del processo per intervenuto fallimento di una delle parti occorre fare riferimento non alla data del fallimento, bensì a quella in cui la controparte abbia legale conoscenza dell’evento. 
A specificare il concetto di conoscenza legale è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione la quale ha affermato che: “la conoscenza deve essere legale ossia acquisita non in via di mero fatto, ma per il tramite di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell’evento che determina l’interruzione del processo, assistita da fede privilegiata.”
Per conoscenza legale deve intendersi, ad esempio, la dichiarazione da parte del Giudice in udienza oppure la comunicazione del Curatore.  
 

News correlate